IL LUTTO
Il lutto inteso come perdita per morte, di una persona cara a noi significativa, è un evento drammaticamente doloroso che rientra in una dimensione inevitabile dell’esistenza umana.
I lutti possono essere vissuti in modi diversi: la perdita di un genitore, quando si è ancora piccoli, è sicuramente molto diversa che sperimentarla da adulti. Alcune morti sono vissute come naturali, nel caso di parenti anziani, altre invece non riescono neppure ad essere pensate come nel caso di morte dei propri figli.
Seppure l’intensità del dolore e la sua durata varierà considerevolmente da individuo a individuo, si è intravisto un sottofondo comune: una successione di stati mentali, emotivi, cognitivi e comportamentali che si fondono e si sostituiscono l’uno con l’altro tanto da parlare di un “processo biologico” del lutto volto ad una sua “risoluzione”.
Dobbiamo chiederci che cosa si intende per “risoluzione del lutto” e quando possiamo definire il lutto “risolto”?
Freud in una lettera indirizzata a Binswanger, dopo la morte di un suo nipotino scriveva:
“E’ noto che il cordoglio acuto dopo una tale perdita passerà, ma si resta inconsolabili, non si troverà mai un compenso. Tutto ciò che può subentrare, anche se riempisse il posto vuoto, resta qualcosa di diverso. E, a dire il vero, è giusto che sia così. E’ l’unico modo per proseguire l’amore da cui non si vuole desistere“.
Bowlby nella sua opera La perdita (1980), secondo la cornice teorica dell’attaccamento, ha contribuito alla comprensione dei vari fenomeni che compaiono dopo la perdita di una persona significativa, ossia una figura di attaccamento, ed ha individuato quattro fasi – che hanno una intensità e durata soggettiva – per tutto il decorso di questo processo così doloroso:
- La fase dello stordimento o dell’incredulità, rappresenta il primo momento di impatto con la comunicazione della perdita: si è incapaci di accettare la notizia. Durante questa prima fase si alternano momenti di distacco e incredulità (ci si domanda: siamo sicuri che è morto?), a sensazioni di dolore, di perdita e smarrimento. Tutte queste sensazioni provocano una forma di automatismo che si manifesta nella prima giornata del lutto, quando i parenti più prossimi si occupano delle vicende amministrative – del trasporto e della sepoltura della salma – in un modo distaccato. La fase di incredulità perdura di più nel tempo se non si è vista la morte, non si è visto il corpo senza vita del proprio caro. Le persone hanno bisogno del corpo per iniziare il processo del lutto perché è il primo momento in cui si verifica, si tocca, si prende atto della morte e comincia questo “processo biologico”.
- La fase dello struggimento e della ricerca della figura persa. La persona che ha perso una figura affettivamente significativa inizia, da un lato, a prendere atto della realtà della perdita reagendo con angoscia e disperazione, dall’altro invece rifiuta questa consapevolezza, nutre la speranza che tutto possa tornare come prima e questo genera irrequietezza e inquietudine. Nello stesso tempo, sperimenta la rabbia – rivolta alternativamente verso chi l’ha abbandonato o verso chiunque abbia potuto contribuire all’evento – e la colpa, accusandosi di aver o non aver compiuto qualche presunto atto collegato alla malattia o al decesso.
- La fase della disperazione. Questa è la fase in cui la persona prende coscienza ed inizia ad accettare l’irreparabilità della perdita. Lo stato di agitazione viene sostituito da disinteresse per tutto ciò che accade, l’umore è depresso. Questo stato d’animo costituisce lo stato emotivo predominante del primo anno di lutto e persiste come sottofondo per almeno due o tre anni. Anche dopo diversi anni dalla perdita, può ritrovarsi una vulnerabilità, con il ripresentarsi di un umore depresso in prossimità di anniversari o momenti significativi.
- La fase di riorganizzazione, che può essere più o meno riuscita. Affinché il lutto si possa definire risolto, sembra indispensabile che la persona che lo sperimenta sopporti il tormento emotivo che esso comporta, accetti e riconosca la ineluttabilità della perdita fino in fondo, riacquisti un proprio equilibrio, ritrovi la propria vita e inizi a ridefinire obiettivi e progetti futuri.
Bowlby scriveva: “il lutto sano è il tentativo riuscito, da parte di un individuo, di accettare l’irreversibilità della perdita e di riorganizzare i propri legami affettivi“, aveva intuito che non tanto di fine si tratta, ma di trasformazione dei legami, la persona defunta resterà per sempre presente nel mondo interiore di chi resta.
Per risolvere un lutto, si ha bisogno di tempo e di condizioni facilitanti. Si ha bisogno di un affiancamento che Bowlby ha chiamato “figura su cui contare“, ossia un “compagno di viaggio” che sappia ascoltare senza giudizi, condividere le emozioni e trovare un nuovo significato agli eventi. La risposta più utile che si può offrire a coloro che vivono un lutto è: attenzione, empatia e conforto.
Shakespeare scriveva: “Dà voce alla sofferenza. Il dolore che non parla imprigiona il cuore agitato e lo fa schiantare“.
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